Tutto Roma

News in tempo reale, foto e video sull'As Roma


Lascia un commento

Berlusconi-Allegri come Agnelli-Trap: tutte le ore sono buone. Chiamiamolo alle… Strama ha funzionato. Zeman, lei non è il presidente a reti unificate. Sia chiaro: Giacinto Facchetti uomo per bene

Le telefonate prima delle 7 del mattino dell’avvocato Agnelli a Giovanni Trapattoni, suo allenatore della Juventus, fanno parte della mitologia e della letteratura del calcio italiano.
Non sono male neanche il presidente Berlusconi e Massimiliano Allegri. Il numero uno del Milan aveva chiamato il suo allenatore due volte prima della partita di Bologna, per condividere
con il tecnico la buona riuscita dell’ultima settimana di mercato. Stessa cosa, dal momento che il Campionato, sta ricominciando dopo la sosta, prima di Milan-Atalanta. Nella notte fra
giovedì e ieri, il presidente del Milan ha nuovamente telefonato a, come lo chiama lui, “Massimiliano”. Conversazione molto molto serena. Il presidente Berlusconi, o il Pres. così come lo
chiama il tecnico rossonero quando parla di Silvio Berlusconi con il suo staff, è molto vicino all’allenatore rossonero. Il quale Allegri proprio così debole e scaricato dalla proprietà e dalla società rossonera non è, tant’è che moltissime delle sue scelte trovano rispondenza nelle decisioni finali prese sulla rosa di Prima squadra nel corso dell’intera estate. Sarà anche vero che la cosiddetta
realtà percepita nel rapporto Berlusconi-Galliani-Allegri in questo momento è diversa dal reale. Ma attenzione: il percepito può essere incanalato, indirizzato, caricato a orologeria e strumentalizzato un equivoco e un pretesto dopo l’altro. Il reale no. Il reale è quello che è. E se Adriano Galliani ha voluto suonare il gong della fine dell’estate e dei piagnistei dei media e dei tifosi sul mercato rossonero e far iniziare ufficialmente la stagione anche partendo da un paio di riferimenti tosti all’allenatore, lo ha fatto perchè in seno alla società la posizione di Allegri è forte e la stima di fondo del presidente e dell’amministratore delegato del Club nei confronti del tecnico è buonissima. Altrimenti, con un tecnico dallo sfondo e dal contesto più deboli, i dirigenti rossoneri avrebbero saputo essere protettivi all’esterno e severi all’interno. Le telefonate continue e rituali del presidente Berlusconi non faranno breccia nei sostenitori di Gullit allenatore del Milan (il buon Ruud ha fatto sei mesi male con il Terek Grozny nel 2011 ed erano tre anni che non allenava dopo averci provato con i Los Angeles Galaxy…vi prego…), ma a chi azzarda paragoni fra il terzo anno di Allegri e il terzo anno di Zaccheroni, mi permetto di ricordare una frase continua di Zac in quei periodi: “Mi manca molto il presidente Berlusconi, con tutti gli impegni che ha non riesce a starmi vicino come vorrei”…
Strama è Strama. Strama non si tocca. Strama ha un tale cognome da titolo che merita lunga vita sulla panchina dell’Inter. Deve essere stato questo il mistero della moltiplicazione dei pani e dei pesci dell’ultima sosta di Campionato. Dopo aver subìto tre gol in casa dalla Roma, Strama ha passato una sosta serena, sorridente, tanto sorridente da avere il mal di pancia dal ridere. Allegri, invece, che a questo punto dovremmo abbreviare in Alle per vedere l’effetto che fa, dopo aver superato molto bene quello che era stato presentato alla vigilia della partita come il duro e delicato esame di Bologna, è stato sbattuto sui carboni ardenti di una sosta da incubo. Gli infortuni ce li han tutti ma li hanno addebitati solo a lui e al Milan, nel weekend senza calcio era tranquillo con il figlio a Livorno ma si sono divertiti con il giallo della cena inesistente di Forte dei Marmi, mancava solo che gli addebitassero di aver preparato male Niang per l’esame di guida e il quadro sarebbe stato perfetto. Tutto questo mentre Strama, dopo le tre pappine di San Siro, faceva dimagrire Cassano, dava l’oscar dei nuovi acquisti a Palacio, recuperava Alvarez da un infortunio inesistente perchè gli infortunati come noto ce li ha solo il Milan e per finire si faceva una bella risata anche se non era arrivato dal mercato il vice- Milito. Una sosta allo zucchero filato, da luna park delle meraviglie. Mentre Allegri, come ha correttissimamente rilevato Sandro Sabatini su Sky Sport 24, ha vissuto una sosta da arancia meccanica o giù di lì.
A volte penso che tutti noi che stimiamo Zeman, non facciamo un favore nè a lui, nè alla Roma. A noi che ce ne freghiamo se non ha vinto niente, perchè preferiamo non vincere piuttosto che vincere in un certo modo, a noi che aspettiamo quello che dice Zeman e che non ci perdiamo una sola replica di Zemanlandia sul canale 216 di Espn, Zeman piace fin troppo. E generiamo una creatura, Zeman stesso, che si piace troppo. E’ un concetto, il troppo, che stroppia sempre fin dai tempi della nonna di Giampaolo Pansa. E lo stroppio fa sì che a volte accade che Zeman, quando esterna, si senta un po’ come il presidente della Repubblica che parla agli italiani a reti unificate prima della notte di Capodanno. No, Zeman, non è così e non va bene così. Il Quirinale è trasversale e super partes per natura, Lei invece ha il dovere professionale di rappresentare una parte. Punto primo non può trascinare oltre un certo limite una guerra santa che è sua e non della Roma e che la Roma non vuole vivere in maniera totalizzante. E poi, e questo è un po’ il punto, Lei che è uomo di mondo e che ha vissuto tanti anni da allenatore a Roma, ha il dovere di conoscere Roma. Se non la conosce Lei…E proprio per questo, non può non sapere che Giancarlo Abete è il perfetto dirigente figlio della scuola romana, altrochè nemico del calcio. I presidenti federali sanno durare, sanno sussurrare, sanno sospirare di fronte alle polemiche. Non ce l’hanno nel dna di partire lancia in resta e di far troppo rumore con troppi cambiamenti. Non è un colpa, non c’è nulla di male, ma non vivono e non durano così. E’ questione di dna. Non li faccia più decisivi e importanti di quelli che sono e faccia tante scuse a quel gentiluomo del presidente Abete. Si può fare.
Non vorrei aver generato equivoci con il passaggio su Giacinto Facchetti, nel pezzo di una settimana fa. Sia chiaro. Anzi, sia forte e chiaro: Giacinto Facchetti era una persona perbene. Tenero, non scafato, fiducioso, forse fin troppo, nei confronti del mondo e degli uomini. Si difendeva, male secondo una giustizia sportiva che ha la stessa intelligenza di certi semafori cittadini, ma si difendeva. Non voleva regali da nessuno. Voleva solo quello che era giusto e non voleva essere fregato. Proprio come quella persona (insospettabile) che gli aveva preparato il dossier (no, non era Inter Channel…), di fronte al quale Moggi e Giraudo, è un’immagine che oggi mette i brividi, sghignazzavano quella sera alla Domenica Sportiva. Giacinto Facchetti, lo ripeto a chiare lettere, persona perbene. Estranea ad un certo tipo di clima. Quale? Il clima subìto da quell’ispettore dell’ufficio indagini che aveva paura di scrivere nel rapporto quello che aveva visto nell’intervallo di una partita dell’Autunno 2005 a San Siro perchè temeva di essere cacciato se lo avesse scritto…